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La Giornata Mondiale dell’Acqua e il business delle bottiglie
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Un giro d’affari quello dell’acqua in bottiglia, stimato da Legambiente in 10 miliardi di euro, con guadagni enormi per le aziende imbottigliatrici che continuano a pagare canoni concessionari irrisori: circa 1 millesimo di euro al litro, 250 volte meno del prezzo medio che i cittadini pagano per una bottiglia.

La striscia

È un bene primario, vitale e da preservare. L’acqua, invece, continua spesso a essere gestita come se fosse proprietà privata a vantaggio di pochi che si assicurano enormi guadagni a discapito di cittadini, dell’ambiente e delle stesse casse statali. Il settore dell’acqua in bottiglia in Italia non conosce crisi: un giro d’affari stimato intorno ai 10 miliardi euro all’anno, con un fatturato per le sole aziende imbottigliatrici che i rapporti di settore stimano in 2,8 miliardi di euro, di cui solo lo 0,6% arriva nelle casse dello Stato. Le aziende infatti pagano canoni che raggiungono al massimo i 2 millesimi di euro al litro, un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia. In Italia ci sono oltre 260 marchi distribuiti in circa 140 stabilimenti che imbottigliano gli oltre 14 miliardi di litri necessari per garantire l’esorbitante consumo pro-capite nostrano (206 litri annui), che fanno dell’Italia il primo Paese in Europa e il secondo nel mondo (dietro solo al Messico) per consumo di acqua imbottigliata, stando a i dati forniti da Censis.

GIORNATA MONDIALE DELL’ACQUA – A riportare l’analisi sul business dell’acqua in bottiglia sono Legambiente e Altreconomia che, in vista della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, presentano il dossier “Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana”, in cui si riporta la non sostenibilità dell’attuale modello di gestione della risorsa idrica e le carenze strutturali del nostro Paese. Per questo l’associazione ambientalista chiede che la concessione di beni comuni naturali e di pregio venga sottoposta ad attente regole di assegnazione e gestione, nonché a canoni adeguati in modo da evitarne abusi nell’utilizzo e rendite per pochi.

«I dati riportati nel rapporto evidenziano come in Italia l’acqua in bottiglia garantisca ancora oggi un business miliardario, in costante aumento negli ultimi anni, così come i consumi – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Alla base del record tutto italiano il falso mito che sia migliore e più controllata di quella del nostro rubinetto e soprattutto un costo della materia prima (l’acqua), per chi imbottiglia, praticamente nullo: una media di appena 1 millesimo di euro per ciascun litro imbottigliato. Per questo proponiamo di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Un canone comunque irrisorio, ma già dieci volte superiore a quello attuale e che permetterebbe alle Regioni di incrementare gli introiti di almeno 280 milioni di euro l’anno, da reinvestire in politiche e interventi in favore dell’acqua di rubinetto e per la tutela di della risorsa idrica, oggi messa a dura prova anche dai cambiamenti climatici e dalle continue emergenze siccità.”

QUELLA DEL RUBINETTO E’ MEGLIO – L’obiettivo di incrementare l’utilizzo dell’acqua di rubinetto e ridurre l’eccessivo uso di bottiglie di plastica è anche al centro dei recenti cambiamenti in atto nella legislazione europea, dalla Plastic Strategy alla nuova proposta di revisione della direttiva sulle acque potabili presentata lo scorso 1 febbraio, con una riduzione del 17% dei consumi di acqua in bottiglia di plastica e un risparmio conseguente per le famiglie europee pari a 600 milioni di euro l’anno. Intanto il consumo di acqua in bottiglia nel nostro Paese continua a crescere, con una produzione che oscilla tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie all’anno. Il 90% dell’acqua emunta e imbottigliata in Italia non valica i confini. Nel 2010 erano dodici i miliardi di litri confezionati, saliti a quattordici nel 2016.

IN LOMBARDIA – E la situazione particolarmente emblematica è in Lombardia: in questa Regione le società imbottigliatrici di acque minerali godono di un regime di assoluto privilegio per prelevare dal sottosuolo l’acqua che poi rivendono a caro prezzo. 1,2 € al metro cubo, vale a dire poco più di un millesimo a litro su una risorsa che, quando giunge ai supermercati, ha un costo quasi 1000 volte superiore. A questo si aggiunge poi un canone legato all’estensione superficiale pari a 34,93 €/ettaro che, però, incide ben poco sulla quota prevista. Come dire che, quando compriamo una bottiglia di acqua minerale, quello che paghiamo, a parte il costo della bottiglia di plastica e il trasporto, è l’enorme margine di profitto generatosi nel tragitto dalla fonte allo scaffale. La Lombardia, infatti, è ancora troppo generosa con gli imprenditori di un settore, quello delle acque minerali, che a livello nazionale fattura 2,8 miliardi di euro all’anno di cui solo lo 0,6% arriva nelle casse dello Stato. Questa situazione consente loro di ricavare imponenti investimenti pubblicitari, perché tanto la materia prima costa quasi nulla.

«Pensiamo sia necessario rivedere i criteri nazionali e regionali che fissano il costo dell’acqua,  bene primario, vitale e da preservare. – dichiara Barbara Meggetto, presidente Legambiente Lombardia – I diritti esclusivi di utilizzo, quali sono le concessioni per le acque minerali, devono sottostare ad una tariffa dignitosa, che tenga conto del fatto che si sta a tutti gli effetti privatizzando una risorsa che appartiene alla comunità. Per questo proponiamo di applicare un canone minimo di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Un canone comunque irrisorio, ma dieci volte superiore a quello attuale, che permetterebbe alla sola regione Lombardia di aumentare il proprio introito dai quasi 4 milioni attuali a 65 milioni, da vincolare alla tutela attiva dei bacini imbriferi attraverso attività agricole e forestali pienamente rispettose della risorsa idrica».

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