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martedì, Aprile 23, 2024

Ucraina, direttore di ‘Avvenire’: “Italia non sa scegliere non violenza e fermezza”
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La striscia

(Adnkronos) – La tendenza a lasciar fare portata avanti in questi anni, dalla distruzione di Aleppo alla Georgia. La presunzione che la guerra sia l’unica risposta. L’incapacità di perseguire un’azione diplomatica e contemporaneamente nonviolenta ma ferma, sostenendo chi va a mani nude a fare resistenza. La sostituzione del cattivo di turno e delle sue fonti fossili protraendo anche la guerra all’ambiente. Sono questi i punti sollevati dal direttore di Avvenire Marco Tarquinio
con l’Adnkronos, a pochi giorni dall’evento ‘Pace Proibita’ che su iniziativa di Michele Santoro si terrà al Teatro Ghione di Roma proprio per approfondire nel concreto la via della pace attraverso il confronto fra tanti personaggi della cultura fra cui il direttore di Avvenire. 

“Sostituiamo il cattivo di turno e le sue fonti fossili – osserva quindi Tarquinio – Prima lo abbiamo fatto riducendo i flussi dai paesi a maggioranza islamica e ricorrendo al gas russo, in chiave sospettosamente ‘antiterroristica’ e persino di ‘scontro di civiltà’. Ora che il gas russo è diventato il problema numero uno, si riapre la partita ricorrendo ai combustibili fossili che arrivano da paesi illiberali, come per esempio il Venezuela di Maduro, il caudillo sudamericano che era nella lista nera fino a poco tempo fa. Questa è la logica sbagliata che c’è nel considerare sempre la questione delle risorse come una soluzione da adattare al ‘nemico più nemico’ del momento. Tanto più che un altro effetto della guerra e delle manovre politico-economico in corso è quello di far dimenticare che c’è un’altra guerra in atto, quella contro l’ambiente che sta facendo danni gravissimi, anche in questo momento, sulla faccia della terra. Il vero punto, infatti, è sostituire le fonti fossili con fonti sostenibili e pulite sia nel senso che non rafforzano i regimi illiberali sia nel senso che non inquinano e non aggravano i cambiamenti climatici. Serve un corale atto non ostile, ma di solidarietà con il Pianeta e la vita di tutti. E questo aspetto è parte del cambiamento nonviolento di approccio necessario e urgente”.  

“Poi, e prima di tutto, c’è la vecchia e tragica presunzione in base alla quale si tende ad affermare che alla guerra si risponde solo con la guerra, che non è possibile una risposta diplomatica preventiva efficace e non è neanche concepibile una coraggiosa risposta nonviolenta anche a un’azione sconvolgente come l’aggressione della Russia di Putin nei confronti dell’Ucraina arrivata al culmine di otto anni di guerra che in larga parte abbiamo fatto finta di non vedere, perché la definivamo “a bassa intensità”, mentre in realtà ci sono stati migliaia e migliaia di morti da una parte e dall’altra – rimarca il direttore di Avvenire – Non è stata battuta la strada della diplomazia. Sul tavolo negoziale che si è riaperto in Turchia, come in tutti gli abboccamenti che ci sono stati, gli elementi sono esattamente gli stessi che c’erano all’inizio delle ostilità. E ogni volta che si prova a fare un passo avanti piovono veti incrociati come sulla questione della neutralità dell’Ucraina. Ma la neutralità non esclude affatto la partecipazione all’Unione Europea, come ha dimostrato fino a oggi la partecipazione all’Europa di quattro Paesi quali Svezia, Finlandia, Austria e Irlanda, senza che nessuno l’abbia considerata politicamente una condizione di minorità”. 

Insomma per il direttore di Avvenire “l’Occidente avrebbe potuto accompagnare con intelligenza e moderazione il processo di distacco di Kiev dal filo doppio che l’ha legata per secoli a Mosca, sapendo quali potevano essere il rischio e l’esito di uno scontro frontale. E poi c’è un altro punto debole della diplomazia messa in campo in questi anni: l’abbiamo fatta passare liscia alla Russia ogni volta che ci conveniva per un motivo o per l’altro: così in Siria, anche lì in chiave antiterroristica, e prima ancora nel 2008, quando il Cremlino ha riservato lo stesso trattamento dell’Ucraina alla Georgia in una guerra di 11 giorni, in cui Puntin ha piegato il governo di Tbilisi e si è portato via due province, Abcazia e Ossezia del Sud. E noi abbiamo lasciato fare, facendo finta di non vedere”. 

“Non si è voluto e saputo mettere punti fermi quando occorreva farlo – scandisce Tarquinio – E ciò ha consentito che la macchina bellica russa venisse utilizzata senza neanche grandi emozioni nell’opinione pubblica mondiale. Quando Aleppo – cita il direttore di Avvenire – è stata trasformata in un campo di battaglia e distrutta, una delle città più antiche del mondo dove convivevano tutte le screziature dell’islam e del cristianesimo orientale, una cosa davvero impressionante quello che li è accaduto, qualcuno si è preoccupato fino in fondo? O piuttosto si è lasciato fare considerando quella una guerra periferica e non rilevante senza che sia scattata la alcuna operazione di solidarietà complessiva occidentale? Lo stesso per i profughi dalla guerra di Siria quando abbiamo pagato la Turchia per tenerli fermi lì. C’è una incapacità di scegliere la strada diplomatica e la strada della risposta nonviolenta ma ferma, con un utilizzo davvero mirato di quelle sanzioni che non hanno mai fatto cadere nessun regime, neppure quello di Assad

“.
 

“Se l’Ucraina avesse scelto la forma di una grande resistenza civile, se ci fosse stato non Zelensky, ma Nelson Mandela a guidarla o Martin Luther King o Mahatma Gandhi capace di mobilitare milioni persone… Impossibile? È accaduto e sta accadendo anche adesso in Ucraina in diverse città occupate, dove gente a mani nude totalmente disarmata solo con le proprie bandiere ferma i soldati russi, dove donne inermi mettono semi di girasole in tasca ai soldati per dir loro che a combattere e a morire si diventa fiori in terra straniera dopo. Poco? Tanto e soprattutto la determinazione a far riflettere, a interagire umanamente. Ma chi ha dato in Occidente risalto e sostegno ad azioni simili? – fa notare il direttore Tarquinio – L’Occidente in questa fase ha saputo solo dire ‘mandiamo più armi’ affermando che le armi servivano a fermare la guerra”.  

“E cosa è accaduto, invece in questi mesi? E’ accaduto – scandisce il direttore di Avvenire – che la guerra è stata maggiormente alimentata, la sofferenza della popolazione civile è cresciuta, certamente Putin non ha vinto ma non avrebbe vinto neppure se la popolazione avesse reagito facendo una resistenza nonviolenta, non accogliendolo quindi da liberatore. Tanto è vero che i russofoni non vogliono più parlare russo anche nelle zone dove sono prevalenti. E Mariupol è l’esempio più clamoroso. Una città distrutta nella quale i russofoni oggi dicono a Putin ‘Non ti vogliamo’. E per dire questo non c’è bisogno di mortai, lanciarazzi, fucili o carri armati da fornire. Né questo è un discorso da anime belle e da sognatori. Questi sono i pensieri e le azioni che hanno piegato l’impero inglese in India. Resistere in mondo nonviolento, tra l’altro, vuol dire mettere il proprio corpo a rischio esattamente come fa chi va in prima linea. È un altro modo di stare in prima linea. Non lo dico io. Lo dicono gli ucraini che lo stanno facendo…”. 

“In sostanza si è esclusa la possibilità che la resistenza a Putin possa essere anche una resistenza nonviolenta, non bellica, portando avanti di conto una logica che va fermata, la logica della coazione a ripetere gli orrori e gli errori delle guerre novecentesche – dice Tarquinio – Sappiamo che Putin non è un uomo di pace e sappiamo quello che ha fatto in questi anni e sappiamo che vuole ricostruire una visione imperiale zarista, ma la guerra non è l’unica strada. Anzi, non è la strada”. 

“Da cittadino europeo poi ho una preoccupazione è che l’Europa venga trasformata in una trincea, nel luogo di uno scontro rovente sotto il cielo di una nuova guerra fredda che vuole contrapporre un’Oriente aggressivo, la Russia di Putin e la Cina di Xi, a un Occidente in declino. Beh, io dico che l’Occidente può continuare a rimanere egemone dal punto di vista culturale se rimane attraente e cioè se non è il mondo che fa le guerre, ma è capace di portare sviluppo e di creare condizioni di giustizia, dimostrando che la libertà è bella perché non è solo ‘libero mercato’, ma libertà delle persone che si muovono in società più giuste. La libertà non si porta sulle punte delle baionette, ma si fa per contagio. Mi preme che l’Europa non risponda, come sta invece facendo, con il riarmo delle singole nazioni. Se c’è una risposta da dare all’aggressività di altri è costituire un sistema di difesa europeo basato su due gambe, una militare non aggressiva con un sistema integrato di difesa europeo e l’altra civile nonviolenta con i corpi civili di pace”. 

(di Veronica Marino) 

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