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Ue, summit 30 e 31 maggio: per ora no soluzione su embargo petrolio Russia
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La striscia

(Adnkronos) – Lunedì prossimo, nel pomeriggio, i capi di Stato e di governo dell’Ue si riuniranno a Bruxelles in un Consiglio Europeo straordinario convocato tempo fa dal presidente Charles Michel come tappa intermedia in vista del Consiglio ordinario di giugno, per distribuire il lavoro ed evitare di ‘caricare’ troppo l’appuntamento di metà anno. I leader discuteranno e si confronteranno, lunedì e martedì, su tre materie: guerra in Ucraina, sicurezza e difesa comune, energia.  

Appare improbabile, allo stato, che dal vertice esca una soluzione per sbloccare il sesto pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, che comprende un embargo graduale all’import di petrolio, pacchetto che resta bloccato dall’Ungheria. Il premier olandese Mark Rutte ha detto che si augura che venga sbloccato nel summit della settimana prossima “oppure il più presto possibile”. Il premier ungherese Viktor Orban ha chiesto a Michel di non mettere l’argomento all’ordine del giorno del vertice, dato che uno sblocco non è in vista ed è inutile che i leader discutano di un dossier, se non ci sono soluzioni pronte.  

E’ probabile che i capi di Stato e di governo nelle conclusioni demandino al lavoro alla Commissione e agli Stati interessati, a meno che nelle riunioni del Coreper previste di qui a lunedì (una o due) non emergano novità dirompenti, cosa che appare allo stato improbabile. In prima battuta i leader dovrebbero parlare dell’Ucraina, nelle sue varie angolazioni, che ha preso il posto della Covid-19 come ‘item’ fisso dei vertici dal 24 febbraio, quando è scoppiata la guerra decisa dalla Russia. I leader nelle conclusioni dovrebbero ribadire l’impegno “incrollabile” ad aiutare Kiev su diversi piani, incluso quello militare. Secondo una bozza provvisoria delle conclusioni riportata dall’Eu Observer, il Consiglio Europeo prometterà di continuare a finanziare e armare l’Ucraina davanti alle “indicibili” atrocità commesse dalle forze russe, che continuano a provocare “sofferenza e distruzione”.  

Il Consiglio Europeo dovrebbe anche “compiacersi” di qualsiasi “misura di confisca” legale che venga proposta, anche se occorrerà discutere per essere sicuri al 100% che misure di confisca degli asset russi reggano ad un ricorso alla Corte di Giustizia. Gli asset confiscati dovrebbero essere utilizzati per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina, nelle intenzioni della Commissione, anche se alcuni Paesi, come la Germania, hanno forti garanzie costituzionali che proteggono i beni dei privati dalla confisca dello Stato, dunque è una materia della quale i leader dovranno discutere. Verrà ovviamente ribadito l’appoggio dell’Ue al diritto di autodifesa degli ucraini, affermando che l’Ue “resta impegnata ad aumentare la capacità dell’Ucraina di difendere la sua integrità e sovranità territoriale”.  

Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, ma anche l’Ungheria e Cipro, stanno chiedendo che, oltre a tutto questo, venga inserito un appello almeno ad un cessate il fuoco: Polonia e Paesi Baltici, che vivono la Russia come una minaccia esistenziale, a maggior ragione dopo l’invasione dell’Ucraina, si sono opposti, ma il lavoro di ‘drafting’ non è ancora finito. Di fatto, inserendo questo passaggio si intende delineare anche un fine, oltre ai mezzi, di un’azione che comprende l’assistenza finanziaria a breve termine, per il funzionamento dello Stato ucraino, e a lungo termine, per la ricostruzione, che dovrebbe essere finanziata dall’Ue mediante una piattaforma cui dovrebbero partecipare, oltre all’Ucraina, anche altri partner.  

I leader dovrebbero anche toccare il tema della crisi alimentare generata dalla guerra in Ucraina, con il blocco del porto di Odessa (chiuso dalle navi da guerra russe e dalle mine messe in acqua dagli ucraini a fini difensivi) che impedisce l’esportazione dei cereali ucraini. E’ un tema cui l’Italia è molto sensibile, visto che diversi Paesi del Nordafrica, inclusa la dirimpettaia Tunisia, stanno avendo grosse difficoltà ad approvvigionarsi di grano. Il pane nel Maghreb è una componente essenziale dell’alimentazione quotidiana e la Primavera araba, con tutto quel che ne seguì, scoppiò anche a causa dei rincari dei cereali. Se dovesse accadere la stessa cosa a causa della guerra in Ucraina, i flussi migratori da sud verso le nostre coste potrebbero aumentare di molto. 

Si lavora, come ha detto ieri il vicepresidente Valdis Dombrovskis, per cercare di creare corridoi sicuri nel Mar Nero, ma lo stesso politico lettone ha sottolineato che occorrerebbe una qualche scorta armata per garantire la sicurezza delle navi. I russi hanno dato una disponibilità strumentale, chiedendo di togliere le sanzioni per consentire l’esportazione dei cereali, mentre gli ucraini, sotto attacco da parte di Mosca, non si fidano, temendo che, se le acque venissero sminate, i russi ne approfittino per occupare Odessa. La Commissione sta lavorando per aprire vie terrestri verso altri porti, ma per esportare i 20 mln di tonnellate abbondanti di cereali che giacciono nei depositi ucraini le infrastrutture di terra non bastano.  

Non si dovrebbe parlare, invece, dello status di candidato all’adesione all’Ue dell’Ucraina, un argomento più divisivo che dovrebbe essere trattato nel Consiglio del 23-24 giugno. In materia di sicurezza e difesa, i leader discuteranno delle proposte avanzate dalla Commissione per far sì che l’Europa spenda di più in campo militare, ma soprattutto che spenda meglio. L’Ue, nel suo insieme, spende molto più della Russia, più o meno quanto la Cina, ma in modo inefficiente, perché ogni Paese ha la sua industria della difesa, anche per ragioni strategiche, con il risultato di avere una grandissima diversificazione e una scarsa interoperabilità degli asset e, quindi, una cospicua inefficienza della spesa rispetto, ad esempio, a quella della Federazione Russa che, a differenza dell’Ue, è uno Stato nazionale.  

I leader discuteranno dell’argomento, anche perché alcuni Paesi, tra cui l’Italia, sono sì d’accordo sullo ‘spendere europeo’, ma a patto che ciò non significhi tagliare fuori le collaborazioni con partner vitali come gli Usa e il Regno Unito. Ultimo ma non meno importante, il tema dell’energia, sulla scia delle conclusioni di Versailles. I leader cominceranno a discutere del pacchetto RePowerEu, che si innesta e potenzia il pacchetto Fit for 55, alzando alcuni obiettivi e puntando fortemente sulle rinnovabili. Uno degli aspetti più innovativi del piano presentato dalla Commissione, tra i tanti, è l’approccio suggerito per tagliare i tempi burocratici che oggi soffocano in molti Paesi, Italia inclusa, lo sviluppo degli impianti eolici e solari. La Commissione propone di individuare delle zone deputate, di interesse ambientale o paesaggistico scarso o relativo, per l’installazione di questi impianti e di condurre a livello di zona le valutazioni di impatto ambientale, anziché a livello di singolo impianto. In questo modo l’obiettivo è di tagliare i tempi a un anno per gli impianti nuovi, a sei mesi per l’ampliamento di quelli già esistenti. 

I leader dovrebbero parlare anche di gas, in particolare delle infrastrutture necessarie ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto dagli Usa e da altri Paesi (infrastrutture ‘convertibili’ al trasporto di idrogeno), per ridurre la dipendenza dalla Russia, che resta forte in alcuni Stati manifatturieri come l’Italia e, ancora di più, la Germania. La Penisola Iberica è ricca di rigassificatori, ma è poco connessa con il resto del continente, al punto che la ‘Isla’ energetica costituita da Spagna e Portogallo è riuscita ad ottenere una deroga, nell’ultimo Consiglio Europeo, fissando un tetto al prezzo del gas. Entrambi i Paesi usano molto poco il metano ma, a causa del meccanismo di formazione del prezzo nel mercato elettrico Ue, si trovavano bollette alle stelle per via del prezzo del gas, schizzato alle stelle con l’invasione dell’Ucraina.  

Il premier spagnolo Pedro Sanchez è riuscito ad ottenere la deroga solo alzandosi e lasciando la sala del summit, cosa che ha costretto gli altri leader a piegarsi, dinanzi alla prospettiva di un fallimento del Consiglio Europeo davanti alla guerra scatenata dai russi contro Kiev. L’Italia continua a chiedere che venga introdotto un price cap, un tetto massimo al prezzo del gas, per calmierare un mercato sotto pressione: davanti ad un evento bellico, il libero mercato non funziona più come in tempo di pace. Germania e Olanda si oppongono all’introduzione di un price cap, che costituirebbe anche una sanzione indiretta contro la Russia, dato che si applicherebbe anzitutto al gas che arriva via gasdotto da est. 

Il presidente del Consiglio Mario Draghi fa notare anche, da tempo, che davanti agli enormi investimenti necessari per la transizione energetica e anche nella difesa, i bilanci nazionali non bastano. RePower Eu attinge ai prestiti di Next Generation Eu lasciati inutilizzati dagli Stati (diversi Paesi non hanno convenienza ad usarli, perché si finanziano sui mercati a tassi minori di quelli che paga la Commissione), circa 200 mld di euro, al reindirizzamento (volontario) di una parte dei fondi di coesione e per la Pac (il Parlamento Europeo si è già detto contrario) e ai proventi di una parte delle quote della riserva dell’Ets, il sistema Ue di scambio delle quote di emissione, ma è opinione diffusa che occorrerebbero più risorse. 

I Paesi nordici, la Germania in testa con il liberale Christian Lindner alle Finanze, ribattono che Next Generation Eu è uno strumento una tantum, eccezionale, e che non occorre ripeterlo. Nessuno, comunque, si aspettava che Berlino, che ha accettato un piano da 800 mld di euro di debito sostanzialmente comune (Eurobond, o qualcosa di molto simile, in tutto tranne che nel nome), desse il via libera a un Next Generation Eu bis senza battere ciglio, né che lo facesse l’Olanda. Ogni leader politico deve rispondere alla propria opinione pubblica, quindi occorre tempo per far ‘digerire’ certe cose. Mark Rutte ha concesso all’Italia (e altri Paesi del Sud), flagellati dalla pandemia, il debito in comune, anatema per una parte dell’elettorato olandese, appena due anni fa. Anche lui ha bisogno di tempo.  

In Germania, poi, governa una coalizione intrisencamente più instabile di quella precedente, che vedeva un partner senior, la Cdu-Csu, e uno junior, l’Spd. Con Olaf Scholz c’è una coalizione a tre, in cui i pesi delle forze sono diversi, quindi anche a Berlino occorrerà tempo. Intanto, i leader discuteranno dei modi per riempire le scorte di gas in vista del prossimo inverno, cosa che si prospetta non facilissima, degli stoccaggi comuni e anche del progetto di acquistare gas in comune a livello Ue, come è stato fatto con i vaccini anti-Covid. Come ha detto Christine Lagarde, un cartello dei compratori avrebbe un effetto calmierante sui prezzi del gas. Certo, la Russia potrebbe decidere di non venderlo, ma l’Ue conta per il 75% del mercato mondiale del gas via tubo. Se Mosca non vende il suo gas all’Ue, deve bruciarlo, per non danneggiare i giacimenti, dato che il gasdotto transiberiano che collega la Russia alla Cina ha una portata limitata e che, oltretutto, i cinesi pagano il gas meno degli europei.  

Una cosa che appare abbastanza chiara, comunque, è che la Commissione difficilmente insisterà troppo perché le compagnie europee disattendano il decreto russo che impone l’apertura di un conto in rubli presso Gazprombank. Diverse compagnie europee, inclusa l’italiana Eni, si sono adeguate in via precauzionale, riservandosi ricorsi, chiarendo che il rischio di cambio non è a loro carico e che i pagamenti si considerano conclusi al versamento del corrispettivo in euro (o in dollari). Lo stesso Valdis Dombrovskis ha lasciato intendere che per la Commissione il pagamento deve considerarsi concluso al momento del versamento del corrispettivo in euro o dollari, e tanto basta.  

I Paesi membri più dipendenti dal gas, con ogni probabilità, devono aver fatto capire alla Commissione che non possono rischiare una recessione grave, reduci dalla crisi da Covid, perché secondo i giuristi di Bruxelles l’apertura di un conto in rubli viola le sanzioni. Per ora si va avanti così, nella zona grigia, anche se il rublo ha toccato i massimi dal 2020 nel cambio con l’euro. Per quanto riguarda il sesto pacchetto di sanzioni, che prevede l’embargo graduale all’import di petrolio, allo stato attuale non è facile prevedere quando potrà vedere la luce. Al punto che a Bruxelles ci si inizia a chiedere se verrà mai approvato. E’ abbastanza chiaro, ormai, che la strategia di vendere la pelle dell’orso (ungherese in questo caso) prima di averlo ucciso (fuor di metafora, aver convinto Orban a dire di sì) adottata da Ursula von der Leyen e Josep Borrell è fallita. 

Il pacchetto è bloccato da più di tre settimane, perché l’Ungheria, molto dipendente dal petrolio russo, chiede garanzie sulla sicurezza degli approvvigionamenti e sulle compensazioni economiche per i costi che dovrà affrontare, tra l’altro, per ‘ritirare’ su altri greggi raffinerie che da decenni lavorano il petrolio trasportato dall’oleodotto Druzhba (amicizia, in russo) dal Tatarstan. E il leader ungherese, sottotraccia, probabilmente chiede altre contropartite, come lo sblocco del Pnrr ungherese, bloccato da tempo dalla Commissione. Uno scambio simile non è mai stato esplicitato, né l’esecutivo Ue vi ha mai accennato (tra l’altro, il Parlamento Europeo insorgerebbe).  

Ma è evidente che al Berlaymont hanno sottovalutato la tenacia del leader nazionalista magiaro, fresco di rielezione. Forse qualcuno sperava che Berlino intervenisse, riportando Orban a più miti consigli, com è avvenuto in passato con Angela Merkel, vista la fortissima dipendenza ungherese dall’automotive tedesco. Apparentemente, almeno finora, non è successo. Tanto che a Bruxelles non manca chi pensa che Orban, bloccando l’embargo al petrolio, in fondo arrechi un male che non viene del tutto per nuocere. Infatti, alla luce dello stallo in cui è precipitato l’embargo sul petrolio, proporre e approvare un embargo alle importazioni di gas, che avrebbe conseguenze molto pesanti per diverse economie dell’Ue, in primis per la Germania ma anche per l’Italia che pure hanno dato via libera all’embargo sull’oro nero, diventa più difficile, o meno scontato. Di certo lo stallo cui si assiste da settimane sul petrolio non è un incentivo. Intanto, ci si consola pensando che si guadagnano settimane per trovare fornitori alternativi.  

Ma, al di là di questi aspetti a breve, i pacchetti di sanzioni che sono stati approvati finora sono destinati a mordere nel lungo termine. Soprattutto perché, a tendere, sono misure definitive, poiché l’Ue ha un progetto per affrancarsi dal gas russo, embargo o non embargo. E, quando riuscirà a farlo, Mosca si troverà probabilmente in grosse difficoltà, perdendo il suo primo cliente. Anche perché la Cina, l’acquirente sostitutivo potenziale, difficilmente cadrebbe nell’errore in cui è caduta l’Ue, lasciandosi avviluppare in una dipendenza dal gas russo. In ogni caso, in assenza di una soluzione pronta per sbloccare l’embargo sul petrolio, è difficile che Michel scelga di far discutere i leader del problema tenendoli chiusi nell’Europa Building fino alle cinque di martedì mattina. 

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