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Marzollo (Fmsi): ‘In arresto cardiaco, fondamentale rianimazione cardiopolmonare’
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La striscia

(Adnkronos) – “Le manovre di rianimazione cardiopolmonare sono fondamentali per il primo soccorso nel caso di arresto cardiocircolatorio. Bisogna preparare le persone a intervenire in maniera corretta. L’obiettivo del progetto di Primo soccorso sportivo defibrillato (PSS-D) della Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI) è formare i cosiddetti operatori sportivi a intervenire nella maniera migliore”, afferma Paolo Marzollo, Coordinatore Corsi di PSS-D dell’FMSI. “Come insistono anche le linee guida internazionali – continua – è fondamentale che le persone sappiano eseguire perfettamente la rianimazione cardiopolmonare, nella quale il defibrillatore riveste un ruolo importante, ma non essenziale. Ormai è noto che il solo uso del defibrillatore è quasi inutile, mentre invece le manovre di rianimazione cardiopolmonare devono essere utilizzate sempre”. A tale proposito, “tutti gli sportivi hanno ancora negli occhi l’episodio di Eriksen durante i Campionati europei di calcio dello scorso anno – ricorda Marzollo. Abbiamo visto il giocatore mentre correva dietro al pallone accasciarsi a terra e rimanere immobile. L’iniziale intervento dei medici della squadra e dei suoi compagni è stato piuttosto empirico. Ma quando, dopo meno di un minuto, è intervenuta l’equipe di rianimazione del campo, la catena di sopravvivenza ha funzionato egregiamente: hanno infatti avviato le manovre di rianimazione cardiopolmonare, ovvero il massaggio cardiaco esterno e, infine, hanno applicato il defibrillatore. Dopo poco, il giocatore è stato portato fuori dal campo in barella, ma si era ripreso. Abbiamo poi visto, più tardi, come si è risolta la cosa”. Eriksen, infatti, ha partecipato ai mondiali di quest’anno con la sua nazionale. “L’episodio Eriksen – ricorda lo specialista – ricorda che anche nello sport l’arresto cardiocircolatorio è presente. Uno studio eseguito in regione Lombardia ha rivelato, in 4 anni, ben 113 arresti cardiocircolatori in una popolazione che andava dai giovanissimi agli anziani: età media 50 anni. La sopravvivenza in questi 113 casi è stata dell’88% e una 70ina di queste persone sono state rianimate dai presenti. Questo è un segno che c’è già una presenza sul posto” per intervenire nella crisi cardiaca. Questi risultati si devono all’introduzione del “D.M. 2011 – dopo l’infausto episodio di Morosini – poi ribadito nel 2013 con il famoso Decreto Balduzzi, che all’articolo 5 – aggiunge Marzollo – indica che è necessario che gli impianti sportivi, come altri ambienti, siano dotati di un defibrillatore semiautomatico, puntualizzando inoltre che il Coni, nella sua autonomia, adotta il protocollo di PSS-D della FMSI. Inoltre, gli sportivi sono più tutelati perché, prima di poter praticare attività fisica, sono regolarmente sottoposti alle visite medico-sportive per la certificazione dell’idoneità mentre nella società civile i controlli si fanno in maniera casuale o solo perché se presentano sintomi”. Il numero di arresti cardiocircolatori nell’ambito dello sport “è peraltro limitato rispetto a quello che interessa la società civile. Non è però così per gli episodi traumatici che sono invece molto frequenti, dovuti – soprattutto negli ultimi tempi – anche alla preparazione degli atleti – sottolinea Marzollo – in cui gli allenamenti portano a un maggiore aumento della muscolatura. Uno scontro tra due giocatori, di corsa, può avere un impatto simile a quello di uno scontro a 50 chilometri all’ora con tutte le conseguenze. La Federazione Medico Sportiva nel preparare le lezioni di PSS-D ha inserito fin dai primi capitoli un Modello Organizzativo per la Gestione delle Emergenze Sanitarie nello Sport (MOGESS) anche per i traumi maggiori: cranici, spinali, toracici e addominali”. Il trauma cranico continuo “può provocare danni irreversibili al cervello – ricorda lo specialista – che possono portare al Parkinson, come nel caso di Cassius Clay, o demenza, come per Bobby Charlton e altri giocatori dell’epoca”. Un’altra emergenza è il trauma del rachide spinale che, “se non trattato correttamente e immediatamente, può portare a danni neurologici gravissimi, fino alla paralisi completa. Uno studio statunitense ha indicato che il 25% dei danni neurologici è causato soprattutto da interventi sanitari non corretti. Il PSS-D della FMSI – conclude Marzollo – ha anche come compito quello di illustrare, insegnare e mettere a frutto tutti questi studi per poter trattare i traumi gravi in maniera corretta”. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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