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venerdì, Maggio 16, 2025

La primula ritrovata tra i bagnanti di Bibione
L

La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

Gli undici chilometri e mezzo di spiagge di Bibione accolgono ogni anno 5 milioni e mezzo di turisti. Il che pone la località veneta un gradino sopra Jesolo e non molto distante da Rimini, regina storica del turismo di massa con 7 milioni di balneari. In estate, giorno e notte, questo tratto (e non solo) di costa della Laguna di Venezia viene invasa dalla presenza dell’uomo, con buona pace di una delle più importanti zone umide d’Europa. Eppure, fiorisce la speranza: uno degli ultimi angoli nascosti allo sviluppo urbanistico è diventato un’oasi protetta lo scorso anno. E oggi vi è stata scoperta la sopravvivenza della primula farinosa, una rarità botanica che in tutto il Nord Est sopravvive solo nell’Oasi Val Grande di Bibione.

Estesa per 300 ettari, l’Oasi ha previsto la riconversione delle grandi aree adibite a “valle da pesca” e “riserva di caccia”, con lo scopo di conservare e rendere fruibile il patrimonio naturalistico di cui è testimone. Un progetto voluto e gestito da una società privata, la Bibione spiaggia s.r.l., che in questo caso è riuscita a coniugare la sostenibilità economica con la salvaguardia ambientale. Detto, fatto: “Il ritrovamento di questa specie a pochi metri sopra il livello del mare è già di per sé un evento eccezionale”, spiega il naturalista Giosuè Cuccurullo, che ogni giorno accompagna i turisti nelle escursioni guidate in valle. “Poiché in genere è tipica delle Alpi e delle zone artiche, con fusti che raggiungono anche i 50 centimetri di altezza. Ma assume ancora più valore se si considera che a sud della linea delle risorgive, la Val Grande è oggi l’unico sito naturale in cui la specie è ancora presente”.

La riscoperta è avvenuta in un’area di circa sette ettari, dove si è scelto di abbandonare la gestione agricola intensiva, riducendo gli sfalci meccanici e introducendo pratiche più compatibili con l’ecosistema naturale. Sfalcio a fine stagione con asportazione della biomassa, divieto di calpestio e posizionamento di arnie per l’apicoltura puntano a creare un prato stabile, capace di favorire la naturale rinascita di specie rare e, di conseguenza, la crescita della biodiversità.

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