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giovedì, Luglio 17, 2025

Autopsia di un plesiosauro, il “Nessie” italiano validato dalla scienza
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La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

Basta pensare ai dinosauri come i signori della terraferma. Gli studi scientifici dimostrano (e da tempo ormai) che anche negli abissi vivessero creature colossali, capaci di plasmare il nostro immaginario collettivo con leggende come quella del mostro di Lochness. E un “Nessie” validato dalla scienza lo troviamo protagonista di una delle mostre più interessanti in programma in questo momento in Italia: “Oceani Perduti. Giganti marini al tempo dei dinosauri” è stataannunciata in questi giorni al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia “Leonardo Da Vinci” di Milano e metterà al centro della scena un certo Plesiosaurus, uno dei rettili marini più iconici del Mesozoico, per poi dissezionarlo (grazie alla realtà aumentata basata su dati scientifici reali) e scoprire che il suo corpo avesse alcune analogie con l’estetica del più famoso “mostro scozzese”. Dal corpo affusolato, dal lungo collo e dalle quattro zampe trasformate pinne, può esser stato proprio lui ad aver alimentato la leggenda del rettile marino rimasto “intrappolato” nel lago per centinaia di milioni di anni. A onor del vero però, il carattere più rilevante di quello che è già stato ribattezzato “il plesiosauro di Pavia” è proprio quella di essere stato rinvenuto nella città lombarda. Perchè l’Italia era una penisola dominata da dinosauri più sotto il pelo dell’acqua, che sopra. 

“Durante l’Era Mesozoica – spiega Simone Maganuco, paleontologo, curatore della mostra che aprirà al pubblico il 27 settembre prossimo (fino a giugno 2026) – gran parte del territorio che oggi chiamiamo Italia era sommerso da mari tropicali, pieni di vita marina. Per questo, i fossili più frequenti nel nostro Paese appartengono a creature marine, non ai grandi dinosauri terrestri. Un esempio straordinario è proprio quello che verrà esposto in mostra: l’omero di un plesiosauro rinvenuto a Zavattarello, in provincia di Pavia. Un ritrovamento raro e prezioso, che ci collega in modo diretto alla storia profonda di questo territorio”. 

Cambiamento climatico e editing genetico: una lezione di 66 milioni di anni fa

Resterà aperta al pubblico per nove mesi e sarà di fatto la mostra immersiva più completa mai realizzata nel nostro Paese, con uno spaccato della biodiversità marina vissuta tra i 285 milioni e gli 85 milioni di anni fa. In grado di offrirci una lezione sugli argomenti più dibattuti del nostro tempo. Editing genetico e innalzamento delle temperature tra tutti.

“Durante l’Era Mesozoica – interviene Paolo Guaschi, naturalista e curatore della sezione di Paleontologia del Kosmos, il Museo di Storia naturale dell’Università di Pavia – il nostro Pianeta era in gran parte coperto da vasti oceani caldi, con livelli del mare spesso molto più alti rispetto a oggi per l’assenza di calotte glaciali che “intrappolano” enormi quantità d’acqua. Non è fantascienza pensare che, con l’attuale innalzamento delle temperature globali, alcune condizioni simili potrebbero in parte ripresentarsi. Ma la domanda più importante non è se torneremo a quel mondo, bensì cosa possiamo imparare da esso. Lo studio dei fossili e dei cambiamenti climatici del passato ci aiuta a capire come funziona la Terra, come reagisce agli sconvolgimenti su larga scala e come la vita si possa adattare o estinguere”.

E poi: “L’idea di riportare in vita animali marini del passato grazie all’editing genetico è suggestiva ma nella realtà, è impossibile. Per farlo servirebbe DNA integro, completo e leggibile: purtroppo, il DNA non si conserva per milioni di anni. I rettili marini dell’Era Mesozoica, come i plesiosauri o i mosasauri, sono scomparsi da oltre 66 milioni di anni: nessuna molecola di DNA è mai stata trovata nei loro fossili, neanche in forma frammentaria. Anche se si riuscisse a recuperare sequenze minime, la ricostruzione completa del genoma e l’ingegnerizzazione di un embrione vitale sarebbero passaggi pieni di ostacoli insormontabili, etici, tecnici e biologici. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, partendo dal DNA di rettili attuali – come il varano o il drago di Komodo, che condividono alcuni tratti evolutivi con gli antichi mosasauri – si potrebbe “costruire” un organismo simile. Il risultato sarebbe comunque una creatura nuova, non un vero mosasauro, e non si comporterebbe né vivrebbe come l’originale. Il vero valore dei fossili e della paleontologia non sta nel “clonare il passato”, ma nel comprenderlo: come funziona l’evoluzione, quali adattamenti hanno permesso ad alcune specie di dominare gli oceani e quali meccanismi la vita ha sviluppato per sopravvivere in ambienti estremi, come per esempio le pressioni elevate, la mancanza di luce, la caccia a grandi profondità. Insomma, non possiamo riportarli in vita, ma possiamo farli rivivere nella conoscenza, nella scienza e nell’immaginazione, nelle mostre, nei musei e nella cultura pop”.

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