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giovedì, Luglio 17, 2025

Abolire il Palio di Siena? Solo un grande cavallo di Troia (e nessuno conta i morti dell’equitazione sportiva)
A

La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

Senza cavalli ho vissuto tre anni della mia trentanovenne vita, i primi. Per scelta, non ho mai partecipato ad alcuna competizione sportiva, di nessuna disciplina equestre. Non si può eguagliare la grandezza che si nasconde nel saltare un fosso inaspettato dietro la curva di un bosco. Non ho mai guardato il Palio di Siena. Eppure, trovo molto snob, un po’ paternalistico e per lo meno miope, parlare di un palio di cui si ha documentazione sin dal 1239 come manifestazione “anacronistica”. Riti e simboli di un intero popolo, vivi ancora oggi fino alle lacrime, deprivati della loro attualità. Non sarà piuttosto che il tema del benessere degli animali venga usato come “cavallo di Troia” per cancellare un’impalcatura sociale secolare talmente solida, da diventare sacra (e quindi non negoziabile e non svendibile) per i propri cittadini? Anche perché, i numeri di morti e feriti nell’equitazione sportiva – a volerli leggere, dal cross country al salto ostacoli – non temono confronti. 

Il palio alla curva di San Martino, ph Andrea Bonfanti, fonte ilpalio.org

Sono quasi 800 anni che a Siena corrono i cavalli, per celebrare la Vergine Maria o per misurare la forza dei signorotti locali (di qualunque epoca) con le relative contrade. Sono 800 anni che il popolo di Siena costruisce, celebra e osserva religiosissimi riti e laicissime liturgie che scandiscono, in ogni momento dell’anno, la vita della Città. Nel mondo del Palio di Siena si eleggono eroi che restano nella storia (il più delle volte fantini); si celebra la morte (quasi sempre dei cavalli, 50 dal ’75 a oggi); si accendono i fuochi della vittoria e quelli della rivalità, si stringono patti di sangue (battezzando i nuovi contradaioli) e si regolano le dispute, d’autorità o di cazzotti. Questa è la vita per come è davvero, senza infingimenti, patinature e bacchettonerie. Da otto secoli. Cioè vuol dire che ogni senese nuovo nato ha un patrimonio di memorie trasmesso dai propri ascendenti e dalla propria comunità, che costituisce un pilastro ingombrantissimo della propria identità culturale. Al quale, se si conoscono i senesi, nessuno sarà disposto a rinunciare. Con questi presupposti, solo chi pensa di custodire le sacre tavole della morale può pensare di che si tratti di un appuntamento privo di attualità. Ancor peggio, è utilizzare strumentalmente l’impiego e la morte dei cavalli per depennare con superficialità quasi un millennio di appartenenza, cultura e ordinamento sociale.

I MORTI DELL’EQUITAZIONE SPORTIVA

Diversamente, non si spiegherebbe come mai il Palio di Siena no – in cui sono morti 50 cavalli in 50 anni – e le competizioni di equitazione sportiva sì. Il professionismo delle gare internazionali, afferenti a qualunque disciplina, hanno registrato 18 incidenti, con 12 cavalli morti e 6 tra amazzoni e cavalieri solo tra il 2011 al 2016. Con storie veramente drammatiche, come quella che avvenne a Verona nel 2011, in cui il baio Hickstead si accasciò a terra appena varcata la linea di uscita di una gara di salto. Autopsia: rottura dell’aorta. Stessa storia in Germania un mese dopo, di nuovo in Italia nel 2012 mentre in Inghilterra, la giovanissima Ella Pallister venne colpita da una testata del suo Cocoon dopo il rifiuto di quest’ultimo di saltare un ostacolo. La ragazza è morta in ospedale due giorni dopo in seguito ai tanti traumi subiti, anche perché è rimasta agganciata alle staffe ed è stata trascinata per qualche metro sulla pista dal cavallo. E potremmo continuare. 

È dunque possibile che il Palio di Siena non sia anacronistico, ma sacro. E per questo soggetto ad una battente opinione pubblica che vorrebbe abolirne riti e simboli, squalificandolo dalla modernità. Operazione che – ho come la sensazione – non riuscirà tanto facilmente. 

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