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Cinghiali abbattuti a Roma, Franco Perco: “Gli animali selvatici siano il campo di specialisti, non di pie dame”
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La striscia

Elena Livia Pennacchioni
Elena Livia Pennacchioni
Vedo il mondo da 1 metro e 60, l'altezza al garrese del mio Attila. Sono l'addetta stampa della biodiversità, romana di nascita e veronese d'adozione, ma con il cuore ha in Umbria. Scrivo di animali, piante e qualche volta di come l'uomo riesce a salvarli!

Roma Nord, parco giochi di un quartiere contiguo al centro. Giovedì scorso una femmina di cinghiale con sei piccoli al seguito entra nell’area senza curarsi dei presenti. Tra l’arrivo della polizia che chiude i cancelli del parco e il contributo degli animalisti che portano loro da mangiare, gli animali restano lì per 24 ore. Venerdì sera intorno alle 22:00, la polizia provinciale anestetizza gli animali e i veterinari procedono con l’eutanasia di tutti e sette. Il resto è storia di un rimpallo di responsabilità tra il Comune di Roma (che avvia addirittura una commissione d’inchiesta amministrativa) e la Regione Lazio, dopo una più che prevedibile esplosione di polemiche che ha sollevato dubbi sull’opportunità di giungere a una soluzione drastica come quella che si è adottata. Polemiche o no, ci interessa capire a che fenomeno stiamo assistendo e perché ci ritroviamo di fronte alla “punta dell’iceberg” di un problema che non può essere risolto con un ring che schiera da una parte i buoni “con dei sentimenti” e dall’altra i cattivi “cinici e senza cuore”. Parla Franco Perco, zoologo libero professionista, già direttore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e dell’Osservatorio Faunistico della Provincia di Pordenone. Due lauree, una in legge e una in scienze naturali.

Franco Perco, lei è uno dei massimi esperti di ungulati in Italia. Sa dirci come mai una femmina con la propria cucciolata si è spinta così all’interno di un’area densamente popolata?

Non c’è molto da stupirsi. I cinghiali sono ungulati eclettici per quanto riguarda il cibo e sfruttano tutte le possibilità che l’ambiente, anche quello antropizzato, offre loro. Vegetali di vario genere, rifiuti e insomma tutto ciò che è commestibile e abbia una sia pur piccola frazione proteica. Certo, non sono i soli mammiferi a farlo. Ma il cinghiale ha una marcia in più. È altamente sociale, adattabile, intelligente e fa molti piccoli. Inoltre dove c’è o passa… lascia il segno! In realtà poi eviterei di parlare di cuccioli, termine improprio (deriva da cuccia, appunto… non si tratta sempre di cagnolini) e che crea fraintendimenti. Induce alla pietà. E perché mai? Piccoli è preferibile.

E difatti non lascia più il segno solo nelle aree rurali, dove compromette raccolti o semine, ma è il protagonista di un fenomeno che ci siamo abituati a collocare anche nelle città più grandi. Ci può fare qualche esempio di “sconfinamento” di questa specie in aree urbane?

Gli esempi sono ormai più che comuni e tutte le periferie di città che abbiano boschi nei pressi ne sono colpite. Da Roma, appunto, a Genova e a Trieste. Ovviamente dalla periferia si può passare nel centro cittadino e la casistica è ormai quasi sconfinata. E destinata ad aumentare.

Questo però significa che la gestione della fauna selvatica così com’è stata concepita dalle autorità finora, ha fallito. Dove secondo lei?

Temo (è un eufemismo) che le autorità, se intendiamo le amministrazioni di diverso livello da quelle municipali a quelle regionali, non abbiano competenze (né il personale adatto) per gestione della fauna (selvatica non occorre, basta fauna: è sempre selvatica!) all’altezza delle odierne necessità. La gestione faunistica è creduta un lusso o un affare che riguardi solo gli ambientalisti o i cacciatori. Si tratta di un errore clamoroso e tutto lo dimostra: riguarda l’intera comunità e non è un affare per faciloni, buonisti e/o persone inclini a  interventi spregiudicati. La gestione faunistica si deve appoggiare alla scienza ma in più deve tener presente le emozioni e gli interessi della collettività. Notevoli difficoltà dunque, ma che oggi non possono più giustificare i ritardi e gli errori. La gestione faunistica è la Cenerentola di tutti gli interventi ambientali. Non riusciamo neppure a sapere con esattezza (anno per anno) quanti cinghiali, cervi, caprioli o lupi ci sono in Italia. Una vergogna, soprattutto visto che si tratta di animali visibili e cospicui.

Cosa ritiene che abbia dimostrato questo episodio e come è necessario agire perché ciò che è accaduto non si ripeta più? C’è già qualche esempio positivo, che ha saputo trovare una soluzione ad una situazione che ormai sembra sfuggire di mano?

Ritengo che non si tratti solo del problemi etichettabili come “fauna in città” e basta anche se questo è certamente la parte più eclatante del nostro rapporto con la fauna. E non voglio cavarmela dicendo che manca un piano faunistico nazionale che affronti, anche, questo delicato (le emozioni contano!) settore. Le specie problematiche (il cinghiale ma non solo, ci sono anche i piccioni! Eccetera) esigono interventi a volte anche drastici, come la rimozione e l’eradicazione. Soprattutto in contesti urbani, per loro natura delicati è indispensabile prevedere e avere risorse e piani d’intervento agili e non eccessivamente… costosi. (Attenzione anche a questo parametro!). L’allontanamento quasi sempre non serve: se le condizioni ci sono, il problema si ripresenta e si carica di ulteriori tensioni sociali. Ma ciò che ulteriormente manca è la rapidità dell’intervento (che, ripeto, deve essere drastico) ma deve anche il comunicare correttamente che non si agisce in modo spicciativo ma a ragion veduta. Inoltre, nutrire  i cinghiali in contesti urbani, con il pane persino, è un’azione assolutamente nefasta e condannabile.Gli animali selvatici non sono giocattoli e il “voler loro bene” può provocare conseguenze imprevedibili. Per farmi capire: si va da un bravo medico o da uno che ci vuole bene? Poi, il medico sarà tanto più bravo quanto avrà anche molta empatia con il paziente. Ma la gestione faunistica non può essere il regno dei praticoni e dei buoni sentimenti. Anzi: rigore negli interventi, senza dimenticare però le sensibilità umane e comunicando correttamente. Questo è l’imperativo. Insomma, deve essere il campo di specialisti non di “pie dame” (senza offesa)!

Quanto ai buoni esempi, temo non ci siano. Al massimo sono “pannicelli caldi”, senza prospettive. Se non ci si affida agli specialisti (e non li si paga adeguatamente) saremo sempre al fai da te, talvolta anche illegale e ai buoni sentimenti sbandierati su Facebook. Frasi fatti del tipo “animali innocenti” e inoltre “che male facevano”, “piango per loro” eccetera. Parole che sono la testimonianza di una sconfitta. In primo luogo di quella della ragione. Ma certificano anche l’ignoranza delle necessità ed esigenze della fauna. Cominciare a insegnare la gestione faunistica nelle scuole sarebbe già un primo passo. Ma immagino  l’assalto delle “pie dame”  a dire che il tale animale in certi contesti non deve poterci stare… Spero che questa Italia piagnucolona e superficiale cambi. Purtroppo esempi concreti non ne vedo anche se molti colleghi almeno lo pensano.

Ultima domanda che seppur marginale, ha a che fare con l’empatia: allo stato delle cose, ritiene che la gestione di questo singolo episodio si sarebbe potuta svolgere diversamente?

Da quanto ho letto (letto) e gli operatori non sono santi nonché le circostanze, le provocazioni…Purtroppo, SI.

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